Le professioni che orbitano intorno al funzionamento dei servizi sociali si pongono quasi sempre all’attenzione dei ricercatori con qualche difficoltà di analisi in più rispetto ad altre. Infatti, la complessità ed il carattere infinitamente mediato dei bisogni sociali nelle società occidentali plasmano continuamente i modelli e gli strumenti di welfare esistenti, rendondone complicata qualsiasi "fotografia", qualsiasi tentativo di separazione della parte dal tutto.

Corrispettivamente, analizzare le professioni dei servizi sociali significa intraprendere un viaggio attraverso la multiforme, continuamente mutevole fenomenologia dei bisogni, ed attraverso le mille strategie di costruzione delle competenze create per fornire una risposta a quei bisogni.

La ricerca sul fenomeno delle ludoteche e sui ludotecari, lungi dal costituire un’eccezione a questa regola, al contrario presenta alcune difficoltà in più, proprio perchè il servizio ludotecario fornisce risposte ad un bisogno sociale che spesso non viene riconosciuto come tale (il bisogno di gioco), ed anzi sembra rimandare (in parte sicuramente rimanda) ad una prassi e ad una serie di esperienze tra le più fini a sè stesse per definizione (le esperienze ludiche).

Tutt’al più, alle ludoteche si è disposti a riconoscere un ruolo sociale per il modo in cui intercettano il problema del tempo e del lavoro dei genitori, ed in quanto tali rispondono ad un bisogno, che non è il bisogno di gioco degli esseri umani, bensì quello della custodia dei figli. Più in là però, nella direzione del riconoscimento del gioco come fattore centrale di sviluppo cognitivo ed affettivo del bambino, la società contemporanea, gli Welfare states moderni sono meno propensi ad andare.

Fornire risposte ad un bisogno sociale non percepito o percepito in maniera distorta dagli individui, significa per i ludotecari costruire la propria professionalità con molta più fatica di quella che non costi al ricercatore "descrivere" la professione. Infatti, questa professione si costruisce in molti modi, a partire da storie individuali e collettive le più disparate, in risposta ad esigenze e storie fortemente condizionate dai contesti di nascita e sviluppo delle esperienze.

L’intercettazione del bisogno sociale dei genitori, la custodia dei figli, pone al tempo stesso il servizio ludotecario al crocevia di alcuni dei comportamenti collettivi che caratterizzano le moderne società complesse: la pervasività del tempo di lavoro sul tempo di non-lavoro, il predominio della dimensione metropolitana sulla dimensione comunitaria (il quartiere, il cortile, i punti di ritrovo dei bambini), l’incremento del numero delle famiglie bi-reddituali, l’erosione del ruolo delle figure parentali più prossime al gruppo primario, etc. Fenomeni che contribuiscono ad abbreviare i tempi in cui i bambini abbandonano il proprio status di soggetti ludici per eccellenza ed anticipano l’ingresso nel mondo degli adulti senza gioco.

La risposta delle ludoteche ai bisogni che queste tendenze ingenerano, non è meno importante di quella che esse forniscono a bisogni meno trasparenti: quelli di appartenenza, affettivi, ludici.

E’ a partire da questo doppio binario di impegno e di intrapresa che le ludoteche, a cominciare da alcuni paesi esteri per arrivare con il tempo anche in Italia, si sono storicamente proposte per un ruolo che oltrepassa sempre i propri compiti canonici (l’intrattenimento ludico, il prestito dei giochi) e si sono proiettate su di un tessuto sociale e su problematiche molto più ampie: quelle dei quartieri, delle prevenzione, dell’assistenza psico-pedagogica, delle famiglie.

Di seguito riportiamo una serie di risposte possibili alla domanda
"che cos’è una ludoteca?":

  • un centro di incontro e socializzazione per individui di età diversa;
  • un centro di incontro e socializzazione per individui con esigenze e capacità differenti;
  • un supporto per i bambini in ospedale;
  • un servizio sul territorio;
  • un atelier per attività manuali e creative;
  • un luogo di ricerca e recupero di tradizioni popolari;
  • un centro di consulenza ed informazione sul gioco e sui giocattoli;
  • un osservatorio privilegiato e un centro di recupero del disagio minorile;
  • un centro di ideazione di feste a manifestazioni culturali e di gemellaggi;
  • un centro di attività complementari a quelle scolastiche.

Alla luce della ricchezza ed articolazione di questo ideal-tipo, si può cominciare a comprendere come le storie dei ludotecari italiani possano aver preso inizio dai punti di partenza più disomogenei e via via, in corso d’opera, essersi sostanziate delle esperienze più varie, legate ai contesti più diversi tra loro, anche se quasi tutti concentrati nel Nord e nel Centro del Paese.

Quella del ludotecario sembra la classica professione che si è costruita la propria identità e legittimazione sul campo, all’interno dell’esperienza, ed infatti essa possiede anche la proprietà di non disporre di riconoscimenti ed inquadramenti "formali" (salvo il caso della Regione Sardegna e quello ancora più recente della Regione Abbruzzo), nè tantomeno di modalità di costruzione attraverso curriculi formativi standardizzati.

La ludoteca mal si presta ad una analisi organizzativa di chi arrivi fornito di strumenti euristici canonici, e voglia andar via con le proprie esigenze tassonomiche soddisfatte: "... la ludoteca somiglia in buona parte a chi vi lavora dentro..." - sostiene R. Trabona - e con questa considerazione pone in evidenza l’insopprimibile idiograficicità di questi oggetti sociali, la necessità di accostarsi ad essi come a realtà ed esperienze fatte di cera vergine, che si plasmano e si modellano continuamente sul territorio.

Allo stesso modo si vanno definendo, plasmate dalla qualità e dalla quantità dell’interazione sociale con gli attori circostanti (le famiglie, i Comuni, le scuole, le USSL, ecc.) la professionalità dei ludotecari, la precarietà della loro collocazione ed occupazione, il carattere spesso effimero della vita delle stesse ludoteche.

La vocazione delle ludoteche ad "andare oltre" i confini del proprio ruolo tradizionale, per offrirsi come servizio a tutto tondo sul territorio, sono testimoniati dalla loro perenne attrazione verso la cooptazione della sfera pubblica: quasi tutte le ludoteche nascono private ed aspirano a diventare pubbliche, sia per avere garanzie della propria vita economica, che soprattutto per avere riconosciuta la loro identità di servizio erga omnes, gratuito, che affonda le proprie radici nella necessità di superare le discriminazioni sociali e le opportunità di fruire dei giocattoli e del gioco.

In questa tormentata dialettica tra nascita spontanea, richiesta di riconoscimento sociale e talvolta morte, le ludoteche ed i ludotecari scontano quello che abbiamo definito il mancato riconoscimento sociale del bisogno ludico.

Al tempo stesso, all’interno di alcune delle più vecchie esperienze pubbliche, capita di imbattersi nella trasfigurazione burocratica del servizio ludotecario e di ritrovare l’impersonale razionalità delle istituzioni auto-referenziali, insensibili esse per prime alla ricchezza della domanda e delle possibili risposte sociali.

Anche in questo caso il bisogno non si rivela per quello che è, in tutte le sfaccettature che possiede e nelle profonde connessioni con altre urgenze sociali.

Possono, le ludoteche ed i ludotecari, far emergere un bisogno che non si riconosce socialmente, essere i maiueti di un progressivo processo di disvelamento delle domande, ancor prima che delle risposte?

L’impressione della sua ricchezza ed articolazione, è che la risposta possa essere positiva e che lo sia stata nelle esperienze di quanti, nel corso degli anni, hanno cercato di far nascere nei bambini, nei genitori e nei cittadini, una serie di profondi interrogativi sociali: le contraddizioni tra tradizione e modernità, giocattoli e consumismo, giocattoli come strumenti o come sostituti della comunicazione affettiva, creatività ed industria culturale. La contraddizione più importante, quella tra produttività ed improduttività delle esperienze e delle prassi degli individui, sarà probabilmente la più difficile da far emergere, dato che intorno alle scelte che ruotano intorno ad essa si strutturano anche i significati del tempo collettivo: di lavoro o libero, produttivo o improduttivo, razionale o irrazionale.

Il valore ed il significato che si attribuiscono socialmente al tempo scandiscono anche il valore assegnato al tempo quitidiano, all’universo affettivo, alla maternità ed alla paternità.

Alla base della messa in discussione di questi significati è anche la possibilità delle ludoteche di entrare in relazione con i gruppi primari dei bambini e con le altre istituzioni fondamentali dell’apprendimento e dell’orientamento.

Raramente le ludoteche si sono offerte, sino a questo momento, come luoghi deputati anche a discutere di questi argomenti, a coinvolgere gli adulti in quanto genitori e parenti dei bambini.

La strada scelta più frequentemente semmai, è stata quella di andare incontro ai fenomeni di riconoscimento del bisogno ludico adulto: le ludoteche per adulti sono un esempio di risposta ad un bisogno riconosciuto ed esplicitato. Ma nella maggior parte dei casi i ludotecari lamentano, da parte dei genitori, un comportamento condizionato solo dall’intenzione o dalla necessità di "parcheggiare" i figli , e si avverte talvolta una resistenza idiosincratica all’ipotesi che le ludoteche possano in qualche modo essere spazi condivisi dai genitori.

Eppure, anche di spazi di questo tipo occorre promuovere il riconoscimento del bisogno, ipotizzare come possibili luoghi che consentano di non tenere separati il tempo della identificazione sociale da quello dell’affettività familiare.

Nel futuro delle ludoteche e nella professionalità dei ludotecari potrebbe essere anche questo: una sorta di servizio "a matrioska" dove, all’interno del più ampio e principale, vivono altri micro-servizi per i genitori, in particolare per le madri.

Madri e donne talvolta costrette a sperimentare la cura dei figli come scelta inevitabilmente connessa alla loro segregazione dalla vita sociale e professionale: il bambino che gioca "intorno" alla madre, potrebbe in questo denso essere la metafora più adatta:

"Vorrei quindi che la parola e l’ascolto che qui s’intrecceranno fossero simili agli andirivieni di un bambino che sta giocando intorno a sua madre, che se ne allontana e poi ritorna da lei per portarle un sassolino o un filo di lana, stabilendo così intorno ad un nucleo di pace e serenità tutta un’area di gioco, all’interno della quale il sassolino o il filo di lana hanno alla fine meno importanza del dono pieno di zelo che se ne fa." (Roland Barthes: Leçon inaugurale de la chaire de Semiologie litteraire du College de France prononceé le 7 janvier 1977 - Tr. it. Einaudi, Torino, 1978, pag. 33).

In mezzo ai percorsi dal bambino alla madre, nella pittura del sassolino o nella forme fantastiche del filo di lana, i ludotecari potrebbero trovarsi ad operare all’interno del fragile incantesimo creato da Barhes, all’interno di un equilibrio dove giocano, senza soluzioni di continuità, gioco, pensiero e socializzazione.

Si tratta evidentemente di una ipotesi di lavoro, di una ulteriore opportunità di disvelare il bisogno che il gioco sia molto più parte integrante, anzichè separata della vita quotidiana.

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